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Lo STUDIO LEGALE "AVV. VANIA SCIARRA" si trova in Via Fedele Romani n. 15 (PE) - I recapiti telefonici sono: Tel. Cell. 339.7129029. A ROMA Via Lucantonio Cracas n. 7 e a PIACENZA Viale Malta n. 12. Indirizzo di posta elettronica: avv.vaniasciarra@libero.it
L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).



lunedì 27 marzo 2017

SEPARAZIONE: Addio al mantenimento dell'ex moglie



SEPARAZIONE: Addio al mantenimento dell'ex moglie
Come le più recenti pronunce della giurisprudenza hanno ridimensionato, e in certi casi azzerato, l'istituto assistenziale
In sede di separazione, all'obbligo di assistenza morale e materiale imposto reciprocamente ai coniugi durante il matrimonio, si sostituisce il dovere di contribuire economicamente al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri.
La somma di denaro, da corrispondersi su specifica domanda del coniuge al quale non sia addebitata la separazione, viene commisurata in considerazione dei mezzi dell'onerato e dei bisogni del richiedente.
L'istituto del mantenimento, pertanto, trova la sua ratio nella tutela del coniuge economicamente più debole, mirando a garantirgli lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Che per molto tempo la giurisprudenza abbia inteso operare un'identificazione pressoché totale tra la nozione di coniuge economicamente debole e quella di moglie emerge sintomaticamente dai numerosi provvedimenti di legittimità e di merito con i quali è stato onerato del mantenimento anche l'ex-marito rimasto senza lavoro (cfr. Cass. civ. 12125/1993) e lo stesso mantenimento è stato disposto in favore della ex-moglie in grado di svolgere attività lavorativa, seppur precaria (cfr. Trib. Padova 21.03.2003).
Del pari, in caso di addebito della separazione al marito, la sola capacità lavorativa della moglie, in assenza di prova di rifiuto di occasioni di reddito da lavoro da parte di quest'ultima, è stata da sola ritenuta elemento non idoneo a negare l'assegno in suo favore (cfr. Cass. civ. 12121/2004) e, se prima della separazione i coniugi avevano concordato che uno di essi non lavorasse, l'efficacia ultrattiva riconosciuta a tale accordo è stata posta alla base del diritto alla moglie di ricevere il mantenimento anche successivamente (cfr. Trib. Novara 07.09.2009).

Tale orientamento, tuttavia, è stato recentemente posto in discussione da alcune decisioni che hanno intaccato il dogma del mantenimento e con esso l'automatica equiparazione tra moglie e soggetto economicamente più bisognoso (leggi in merito: "Niente assegno all'ex moglie se può andare a lavorare"; "Cassazione: se la donna è in grado di lavorare può dire addio al mantenimento" e ancora "Mantenimento: niente assegno all'ex moglie che non lavora per pigrizia")

Il "revirement" della giurisprudenza

La strada imboccata dalla recente giurisprudenza, soprattutto di legittimità, è quella di un maggiore rigore nel riconoscimento del diritto all'assegno di mantenimento.
In particolare, per la recente Cassazione, occorre una valutazione dell'attitudine di ciascun coniuge a procurarsi degli introiti, e il mantenimento in favore della ex-moglie non può essere disposto in assenza di impossibilità oggettiva in capo alla stessa di procurarsi mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio mentre svolgeva mansioni di casalinga (cfr. Cass. civ. 11870/2015; nello stesso senso Cass. n. 24324/2015).

Se poi, in caso di relazione extraconiugale della moglie benestante, questa non provi la mancanza del nesso eziologico tra l'infedeltà e la sopravvenuta intollerabilità della convivenza, sarà essa stessa a vedersi addebitare la separazione con obbligo dover corrispondere il mantenimento all'ex-marito (cfr. Cass civ. 10823/2016).

Del medesimo avviso anche la giurisprudenza di merito, che ha negato il diritto al mantenimento per la donna il cui ex-marito si trovi a dover pagare le rate del mutuo della casa coniugale assegnatale e a sostenere al contempo le spese di un nuovo alloggio per sé (cfr. Trib. Roma 31.05.2016) e ha escluso, in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il diritto all'assegno divorzile per l'ex-moglie lavoratrice, già beneficiaria del mantenimento al tempo della separazione, che nel frattempo abbia intrapreso una convivenza stabile con altra persona, quando l'ex marito sia stato licenziato dal posto di lavoro (cfr. Trib. Napoli 23.03.2016).



venerdì 24 marzo 2017

Il divorzio breve. Guida, fac-simile di ricorso e testo della legge



Il divorzio breve. Guida, fac-simile di ricorso e testo della legge
Bastano 6 o 12 mesi per dirsi addio
Che cosa è il divorzio breve
Il divorzio breve è una nuova modalità prevista dalla legge 55/2015 che riduce a 6 o 12 mesi /a seconda dei casi) il tempo di separazione necessario per poter poi chiedere il divorzio.
La riforma sul "divorzio breve" ha rappresentato una svolta epocale per il Paese e per tutte le coppie che attendevano da tempo questa misura per poter mettere "velocemente" una pietra sopra sul passato e rifarsi una nuova vita.
Diventata "realtà" il 22 aprile 2015, a seguito dell'approvazione in via definitiva della Camera che l'ha consacrata a nuova legge dello Stato (l. n. 55/2015, qui sotto allegata), la riforma è entrata in vigore il 26 maggio scorso e già dopo pochi mesi di distanza c'è stato un vero boom di nuove cause di divorzio (V: Divorzio breve: 50mila cause in più a giugno e luglio. Boom di over 65).
Venendo ai punti salienti della riforma, le nuove disposizioni modificano la legge n. 898/1970, c.d. legge sul divorzio, rimasta immutata per circa 30 anni, riducendo i tempi della separazione, sia giudiziale che consensuale, intervenendo sullo scioglimento della comunione dei beni tra coniugi e dettando una disciplina transitoria:
1 anno per dirsi addio in sede giudiziale
Con la modifica dell'art. 3 della l. n. 898/1970, la riforma riduce notevolmente i tempi della separazione.
In luogo dei tre anni prima previsti, ora infatti, in caso di separazione giudiziale, basta 1 anno per porre fine al matrimonio.
Il termine decorre sempre dalla comparsa dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.
Rimane fermo, inoltre, il requisito della mancata interruzione: la separazione deve essersi "protratta ininterrottamente" e l'eventuale sospensione deve essere eccepita dalla parte convenuta.
6 mesi per la consensuale
Il termine di un anno si riduce, ulteriormente, a sei mesi, secondo il nuovo testo dell'art. 3 lett. b), n. 2 della l. n. 898/1970, nelle separazioni consensuali.
Ciò avverrà indipendentemente dalla presenza o meno di figli e anche se le separazioni erano nate inizialmente come contenziose.
Anticipato lo scioglimento della comunione tra coniugi
L'art. 2 della l. n. 55/2015 aggiunge un comma all'art. 191 c.c. andando così ad anticipare il momento dello scioglimento della comunione tra i coniugi.
Lo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi, precedentemente previsto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, è anticipato al momento in cui il presidente del tribunale, all'udienza di comparizione, autorizza la coppia a vivere separata (per le separazioni giudiziali), ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione omologato (per le consensuali).
Inoltre l'ordinanza, con la quale i coniugi vengono autorizzati a vivere separati deve essere inviata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione dei beni sull'atto di matrimonio.
I processi in corso
Altro punto cardine della riforma è l'applicazione dei nuovi termini per la domanda di divorzio e lo scioglimento della comunione legale, anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 55/2015.
Pertanto, le regole saranno valide anche per le separazioni personali pendenti al 26 maggio.
I documenti da allegare al ricorso
Al ricorso per il divorzio (Ricorso per lo scioglimento del matrimonio o ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario) va allegata la seguente documentazione:
·         estratto per sunto dell'atto di matrimonio;
·         certificato attestante lo stato di famiglia di entrambi i coniugi;
·         certificato di residenza di entrambi i coniugi;
·         copia decreto di omologa o sentenza di separazione del Tribunale;
·         dichiarazioni dei redditi di entrambi i coniugi.
Testo della legge sul divorzio breve
LEGGE 6 maggio 2015, n. 55

Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonche' di comunione tra i coniugi.
Art. 1
1. Al secondo capoverso della lettera b), del numero 2), dell'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: « tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale».
Art. 2
1. All'articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma e' inserito il seguente:
«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purche' omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati e' comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione».



mercoledì 22 marzo 2017

Addio mantenimento alla figlia che rinuncia al posto di lavoro "fisso"



Addio mantenimento alla figlia che rinuncia al posto di lavoro "fisso"
Per la Cassazione, non vi è reviviscenza dell'obbligo una volta che il figlio maggiorenne ha raggiunto l'indipendenza economica
Può dire addio all'assegno la figlia che rinuncia al posto fisso, essendo, poi, costretta ad "accontentarsi" di un contratto a termine. Lo ha stabilito la Cassazione (ordinanza n. 6509/2017 depositata ieri, qui sotto allegata), dando ragione ad un padre che chiedeva la revoca dell'obbligo del mantenimento mensile nei confronti della figlia maggiorenne.
Per giudici di merito, la figlia non solo era di età da escludere di per sé ogni ipotesi di mantenimento, ma risultava, inoltre, sulla base delle dichiarazioni rese dalla madre, avesse "lasciato il lavoro, da ritenersi a tempo indeterminato, per lavorare come magazziniera a tempo determinato".
A nulla valgono le lamentele della ragazza, tra l'altro, su presunti problemi psichici che, comunque essendo "irrilevanti ai fini del mantenimento" in ogni caso non erano stati dimostrati.
Per la sesta sezione civile, ha ragione la corte di merito, che, "dopo avere considerato l'età in sé della figlia" ha argomentato in ogni caso rilevando che la stessa aveva "lasciato il precedente lavoro a tempo indeterminato, per trovare poi un'occupazione a tempo determinato". Da cui "l'applicazione del principio secondo cui, una volta raggiunta la capacità lavorativa, e quindi l'indipendenza economica, la successiva perdita dell'occupazione non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento". Il ricorso è respinto.



martedì 21 marzo 2017

Obbligo di mantenimento dei figli adempiuto da un solo coniuge? Si ha diritto al rimborso verso l’altro coniuge



Obbligo di mantenimento dei figli adempiuto da un solo coniuge? Si ha diritto al rimborso verso l’altro coniuge
Il coniuge che abbia integralmente adempiuto l’obbligo di mantenimento dei figli, pure per la quota facente carico all’altro coniuge, è legittimato ad agire “iure proprio” nei confronti di quest’ultimo per il rimborso di detta quota atteso che l’obbligo di mantenimento dei figli sorge per effetto della filiazione
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con ordinanza del 15 marzo 2017, n. 6819, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio quanto già deciso dalla Corte d’appello di Perugia.
La vicenda
La pronuncia traeva origine dal FATTO che la Corte d’appello di Perugia con sentenza in data del 2015, la Corte d’Appello di Perugia, nell’ambito di due giudizi riuniti relativi alla separazione personale degli intestati coniugi ha respinto la domanda di regresso di CAIO, proposta contro il coniuge TIZIA, per il rimborso della quota di spettanza del detto coniuge relativa al mantenimento del figlio minore Federico di cui si era preso cura integralmente il padre CAIO, dal 1996 al 2001, in quanto, ai sensi dell’art. 143 c.c., gli obblighi erano posti congiuntamente a carico di entrambi coniugi, onde colui che aveva provveduto (nella specie CAIO) non aveva diritto di regresso verso l’altro.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso CAIO, sulla base di un unico motivo, con cui denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 143, 147 e 148 c.c.
La decisione
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 6819/2017 ha ritenuto fondato il motivo ed ha accolto il ricorso.
Precisa la Suprema corte che il ricorso è da ritenenrrsi manifestamente fondato atteso che, la negazione del diritto di regresso da parte del coniuge che abbia integralmente adempiuto gli obblighi della coppia genitoriale, è affermazione che contrasta con i contrari principi di diritto posti da precedenti pronunce della Corte.
In particolare, la Cassazione ha già avuto modo di precisare che in materia di obbligo di mantenimento dei figli, nel caso in cui il coniuge abbia integralmente adempiuto tale l’obbligo, pure per la quota facente carico all’altro coniuge, è ravvisabile un’ipotesi di gestione di affari, produttiva a carico dell’altro genitore degli effetti di cui all’art. 2031 cod. civ., atteso che l’obbligo di mantenimento dei figli sorge per effetto della filiazione (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 27653 del 2011).
Il coniuge che abbia integralmente adempiuto l’obbligo di mantenimento dei figli, pure per la quota facente carico all’altro coniuge, è legittimato ad agire “iure proprio” nei confronti di quest’ultimo per il rimborso di detta quota, anche per il periodo anteriore alla domanda, atteso che l’obbligo di mantenimento dei figli sorge per effetto della filiazione e che nell’indicato comportamento del genitore adempiente è ravvisabile un caso di gestione di affari, produttiva a carico dell’altro genitore degli effetti di cui all’art. 2031 cod. civ. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 9386 del 1999).
In conclusione, sostiene la Corte di Cassazione, il ricorso è manifestamente fondato e deve essere accolto, con la conseguente cassazione, in parte qua, della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, perché decida il punto controverso facendo applicazione degli enunciati principi di diritto.