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L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).



sabato 18 aprile 2015



Nonni e diritto di visita sui nipoti: entro che limiti?
Il diritto dei nonni a frequentare i nipoti non è assoluto e incondizionato: se il minore esprime un disagio la decisione del giudice deve tenerne conto al fine di garantirgli una crescita equilibrata e serena.
 Ci sono nonni amati dai nipoti come se fossero dei secondi genitori ed altri che, per le più svariate ragioni, vengono guardati dai più piccoli come parenti a cui far visita, nel migliore dei casi, in poche occasioni. Le ragioni possono essere tante: la distanza, il difficile rapporto tra nonni, generi e nuore (se non, a volte, tra i primi e gli stessi figli), problemi di salute, la separazione in atto tra i genitori dei bambini.
 La legge, però, riconosce a ciascun minore il diritto a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale [1]. Cosa fare allora quando tali rapporti vengono in qualche modo ostacolati?
 In tal caso, i nonni sono privilegiati rispetto ad ogni altro familiare (ad esempio gli zii) in quanto hanno la possibilità di rivolgersi in prima persona al giudice per veder adottare dei provvedimenti tesi a favorire la frequentazione dei nipoti [2], (ne abbiamo parlato in questi articoli: Ostacoli alle visite ai nipoti: ora i nonni possono rivolgersi al Tribunale) e Nonni: quali modalità di visita dei nipoti e interferenze dei genitori. Ma tale diritto incontra dei limiti. Quali?
 Ci aiuta a capirlo una recente pronuncia della Cassazione [3].
In particolare, la Suprema Corte chiarisce che il diritto dei più piccoli a mantenere rapporti significativi con gli ascendenti non deve essere letto come il riconoscimento di un autonomo diritto di visita da parte dei nonni; esso rappresenta, invece, una condizione che obbliga il giudice a svolgere una adeguata indagine e valutazione nel momento in cui debba decidere quali decisioni assumere nel prioritario interesse del bambino, tenendo in debito conto anche la volontà eventualmente espressa da quest’ultimo.
 La vicenda
Per meglio comprendere la pronuncia della Suprema corte è bene fare riferimento alla vicenda concreta, riguardante una bimba di 8 anni rimasta orfana della madre. Il padre della bambina ne aveva ostacolato la frequentazione con la nonna materna e quest’ultima si rivolgeva al tribunale per veder riconosciuto il suo diritto di visita sulla piccola. La bambina però esprimeva la inequivoca volontà di non voler intrattenere rapporti con la nonna in quanto legava la sua figura al doloroso ricordo della malattia della mamma. I giudici, sulla base di quanto dichiarato dalla minore, respingevano la domanda della donna. Questa ricorreva quindi in Cassazione, ritenendo che le dichiarazioni rese dalla nipote fossero inattendibili e che fosse necessaria una preventiva indagine sulla capacità di discernimento della bambina (vista la sua età).
La pronuncia in esame fornisce importanti chiarimenti su due fronti:
– quello relativo alla valutazione circa la capacità del minore ascoltato dal giudice di comprendere la portata e il significato di quanto afferma (cosiddetto discernimento)
– e quello del diritto o meno dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti.
A riguardo, la Suprema corte precisa che l’idoneità e l’attendibilità delle dichiarazioni di un minore non possono essere messe in discussione sulla base del semplice dato oggettivo dell’età, qualora dal loro contenuto e dalla relazione dei servizi sociali non emerga che la volontà del bambino sia stata forzata o suggestionata in alcun modo.
Il giudice, quindi, è libero di valutare la capacità di discernimento [4] del minore anche se abbia meno di 12 anni, senza richiedere uno specifico accertamento tecnico a riguardo.
Il dato anagrafico ha semmai rilievo qualora sia univocamente indicativo in tal senso: ad esempio se si tratti di un minore in età prescolare. Al contrario, nel caso di bambini che frequentano la scuola, l’incapacità al discernimento non può essere presunta, poiché essi sono in grado di comprendere il valore e la portata delle proprie dichiarazioni.
Violazione del diritto di visita
La Corte evidenzia, inoltre, come se da un lato è vero che i minori hanno diritto di intrattenere rapporti significativi con gli ascendenti, da tale norma non scaturisce una vera e propria pretesa azionabile in giudizio da parte dei nonni, ma solo un ulteriore criterio che il magistrato deve tenere in debita considerazione nel momento in cui è chiamato ad adottare dei provvedimenti riguardanti la vita del minori.
In altre parole, il giudice non dovrà più tenere conto nelle sue decisioni del tempo che i minori debbano trascorrere con i soli genitori, ma anche con gli altri componenti di ciascun ramo genitoriale (in primis i nonni), sempre che, tuttavia, che ciò non risulti dannoso per il bambino.
D’altronde ciò emerge dalla stessa lettura della noma [3] che, nel riconoscere ai nonni (cui sia impedito l’esercizio del diritto di mantenere con i nipoti rapporti significativi) la possibilità di ricorrere al Tribunale, prevede anche che la finalità di tale azione consista nell’adottare i “provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore”.
In buona sostanza, va sempre data priorità al benessere del bambino e ad una sua crescita serena ed equilibrata. Perciò, nel caso (come quello in esame) in cui sia lo stesso minore a manifestare con convincimento (anche in contesti estranei a quello giudiziario) la volontà di evitare –almeno in quel momento- rapporti con i nonni , il giudice non può che decidere nel senso di non forzare una frequentazione percepita dal minore come dolorosa.

A ciò ci sentiamo, tuttavia, di aggiungere quanto mai opportuno sia che i genitori si impegnino a non strumentalizzare a proprio vantaggio (perché magari vivono un contrasto con i nonni) circostanze oggettive, a volte dolorose per i loro figli; certamente il desiderio di un nonno – così come di ogni figura vicina la bambino – di prendersi cura di un nipote non può che essere un fattore di arricchimento nella vita di un minore. Compito del genitore è quello di saper andare al di là dei propri risentimenti favorendo, nel bene dei più piccoli, il ricongiungimento familiare.
In pratica
Non esiste un diritto assoluto di visita da parte dei nonni verso i nipoti ma esso è sempre finalizzato a garantire al bambino una crescita serena ed equilibrata. Pertanto, ove emerga – anche attraverso l’ascolto del bambino – che le visite tra nonni e nipoti possano turbarne uno sviluppo sereno ed equilibrato, la domanda dei nonni non potrà essere accolta.
[1] Art. 337 ter, 1° c. cod.civ.
[2] Art. 317 bis cod. civ.
[3] Cass. sent.n. 752/15, del 19.01.15.
[4] Art. 336 bis cod. civ.: “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato”.

venerdì 17 aprile 2015



Cassazione: non rientra nella comunione dei beni la casa costruita sul terreno di proprietà di uno dei coniugi .




 La comunione legale dei beni è il regime patrimoniale della famiglia che opera di diritto. I coniugi possono però decidere di adottare il regime alternativo della separazione dei beni.
Nella comunione legale ricadono una serie di beni indicati nell'articolo 177 del codice civile (1) Mentre restano beni personali quelli indicati nell' articolo 179 (2).

Ma la casistica è sempre più vasta di quanto il legislatore non possa prevedere.
Cosa accade ad esempio se un immobile viene costruito sul terreno di proprietà di uno dei coniugi? Il bene rientra nella o no nella comunione legale? 

La risposta ce la da la Corte di Cassazione che, con la sentenza 6020 del 16 marzo 2014, ha respinto il ricorso di una moglie che riteneva di avere diritti di proprietà su un immobile avendo partecipato alla sua costruzione.

La suprema Corte Non ha fatto altro che richiamare un principio precedentemente espresso dalle sezioni unite (Sentenza n. 651 del 1996 secondo cui "La costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest'ultimo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione  e, pertanto, non costituisce oggetto della comunione legale, ai sensi dell'art. 177, I comma, lett. b), codice civile").

Confermandola la decisione della Corte di Appello di Firenze la Cassazione ha evidenziato che la casa costruita sul suolo di proprietà di un coniuge non rientra nella comunione legale dei beni anche se l'altro coniuge non proprietario ha partecipato alle spese di costruzione.

In sostanza la cosiddetta "accessione" prevale sulla comunione, quindi, il coniuge proprietario del suolo acquista anche la piena proprietà dell'immobile edificata sul medesimo. 

Che diritti ha il coniuge che ha partecipato alla costruzione?
Il coniuge che ha partecipato alla costruzione della casa familiare ha solo un diritto di credito relativamente alle somme sborsate (comprensive del valore della manodopera e dei materiali utilizzati).
La Suprema Corte ha precisato che il credito vantato da un coniuge verso l'altro e' una questione estranea al giudizio di separazione; quindi, il coniuge che intende essere risarcito per le somme versate deve dar vita ad un'altra causa successiva però alla pronuncia di separazione.

La donna,  nel caso di specie, aveva chiesto anche che il marito  provvedesse al mantenimento della figlia maggiorenne ma non ancora autonoma economicamente. 
La figlia però aveva ammesso di svolgere lavori saltuari che le avevano sempre garantito di riuscire a mantenersi. La conseguenza è stata che la donna non ha potuto beneficiare neppure dell'assegnazione della casa coniugale dato che questa va assegnata preferibilmente al genitore che convive con figli minori oppure con figli maggiorenni, sprovvisti di sufficienti redditi propri.




giovedì 16 aprile 2015



Cause di separazione e divorzio: la finanza accede ai conti del coniuge
Dopo l’ultima riforma del processo civile, le indagini tributarie si fanno accedendo all’anagrafe tributaria e a quella dei rapporti finanziari.
 Sempre più facile scovare le bugie dette in giudizio. Il coniuge che tenta di occultare i propri redditi al fine di pagare un assegno di mantenimento più basso all’ex ora deve fare i conti con la nuova possibilità, per la finanza, offerta dall’ultima riforma della giustizia [1], di accedere all’anagrafe tributaria e dei conti correnti: i database del fisco, infatti, consentono di sapere, con millimetrica certezza, quanto l’obbligato ha “nel portafogli”.
 Così, grazie alla legge che ha appena riformato il processo civile, il giudice della separazione o del divorzio può ordinare alle fiamme gialle, nell’ambito delle indagini tributarie, di frugare nei conti correnti del coniuge.
 Attenzione però: se anche è vero che, già prima della riforma intervenuta l’anno scorso, il giudice poteva delegare la polizia tributaria alle verifiche sui redditi e patrimoni dei coniugi/genitori [2], oggi gli uomini del fisco hanno un’arma in più: possono cioè servirsi del database dell’anagrafe tributaria e delle altre banche dati pubbliche, in uso alla P.A., per passare ai raggi X i rapporti bancari, postali e finanziari riguardanti le parti in causa. Insomma: si tratta di accertamenti ben più penetranti.
Una delle prime applicazioni di tale nuova possibilità si ritrova in una ordinanza del Tribunale di Milano emessa lo scorso 3 aprile.
 Gli accertamenti di polizia tributaria sono giustificati anche dal codice civile [3], che ammette indagini nell’interesse dei figli. Pertanto, il giudice della famiglia può disporre indagini di Polizia Tributaria al fine di raccogliere le informazioni necessarie per i provvedimenti in favore della moglie [4] e dei figli [5].
 La riforma della giustizia del 2014 ha introdotto le seguenti modifiche:
 a) ha previsto che nei procedimenti in materia di famiglia il giudice possa accedere alle banche dati tramite i gestori dell’anagrafe tributaria [6];
b) ha esteso le disposizioni speciali in materia di ricerca dei beni con modalità telematiche ai procedimenti in materia di famiglia [7];
 c) ha previsto [8] che le informazioni comunicate all’Agenzia Tributaria sono altresì utilizzabili dall’autorità giudiziaria nei procedimenti in materia di famiglia.

Intestazioni fittizie
Insomma, ora i finanzieri possono trarre informazioni utili sulle possibilità dei coniugi/genitori da anagrafe tributaria, archivio rapporti finanziari, pubblico registro automobilistico ed enti previdenziali. E infatti il giudice ordina alla Finanza di scoprire se la parte in causa ha macchine di valore, carte di credito collegate a conti intestati a terzi o immobili che figurano come di proprietà altrui.

Nell’accertamento dei redditi rientrano non solo le dichiarazioni e le partecipazioni societarie ma anche i depositi bancari negli ultimi tre anni. Saranno i militari a informare il giudice.
 [1] Dl 132/14, convertito in legge 10 novembre 2014 n. 162.
[2] Ai sensi dell’art. 5 comma IX, legge 1 dicembre 1970 n. 898.
[3] Art. 337-ter, comma VI, cod. civ.
[4] Di cui all’art. 5 l. div.
[5] Art. 337-ter cod. civ.
[6] Ai sensi dell’art. 155 quinquies delle disposizioni di attuazione cod. proc. civ.
[7] Art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ.
[8] Art. 7 comma IX del d.P.R. 605 del 1973.