Informazioni personali

La mia foto
Lo STUDIO LEGALE "AVV. VANIA SCIARRA" si trova in Via Fedele Romani n. 15 (PE) - I recapiti telefonici sono: Tel. Cell. 339.7129029. A ROMA Via Lucantonio Cracas n. 7 e a PIACENZA Viale Malta n. 12. Indirizzo di posta elettronica: avv.vaniasciarra@libero.it
L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).



martedì 24 novembre 2015

La disgregazione familiare e il problema dei padri separati



La disgregazione familiare e il problema dei padri separati

La contrapposizione tra uomo e donna è in continuo aumento e, se spesso troviamo articoli e considerazioni sul problema del femminicidio, nulla si trova sul dramma dei padri separati e sulla loro crisi esistenziale ed economica. «Mi hanno separato dal figlio. Mi hanno tolto la casa. Ogni mese tolgono soldi sempre e solo a me». Tutte le storie di violenza sugli uomini e sui padri sono praticamente uguali, la disperazione dei soggetti colpiti da separazione è drammatica e si riflette sulla società intera, la separazione e il divorzio sono solo un processo iniziato molto prima.
Il problema principale è la mancanza di comunicazione, con conseguente accumulo di piccoli rancori che poi saranno un grande macigno che si abbatterà sulla coppia. Studi sulla comunicazione pragmatica del professore Paul Watzlawick della scuola di Palo alto di Chicago, dimostrano facilmente come le coppie, ad un certo punto del loro rapporto, non si ascoltano più e soggettivizzano quanto accade nel microcosmo in cui vivono rapportando ogni affermazione del marito/moglie come una accusa. Un processo indiscutibilmente drammatico che porta a conseguenze drastiche e sostanzialmente deleterie per la coppia, la famiglia e la società. La prima a pagare le conseguenze di questo processo brevemente descritto è la coppia, la mancanza di comunicazione e la soggettivazione dei fatti porta ad un allontanamento e quindi ad una separazione. Avvenuto questo processo, si sprofonda in una logica di fallimento che produce rabbia e per molti uomini depressione.
Il secondo grande problema è la “distruzione” del tessuto sociale che è basato sulla famiglia: la continua disgregazione delle famiglie tradizionali e nucleari produce sconcerto, insicurezza, confusione e rabbia e conseguentemente l’aumento di famiglie mononucleari, creando situazioni di ulteriore individualismo e soggettivizzazione della realtà in cui si vive. Il terzo dramma è invece quello basato sulla società. La famiglia è l’istituzione fondamentale di ogni società e si basa sul matrimonio con i caratteri di esclusività, di stabilità e di responsabilità; tramite ciò la società si riproduce e perpetua in tutte le sue forme. È facilmente comprensibile come il mancare della base su cui si fonda un sistema sociale produca effetti deleteri e drammatici.
I tre problemi sopra esposti sono facilmente verificabili e dimostrabili; quanto invece è ancora lontano da capire è l’effetto che si sta producendo sui bambini che subiscono lo scontro tra genitori, non esistendo ancora molti studi specifici che identifichino le problematiche relative alla crescita dei bambini soggetti alle “guerre” familiari. Se già oggi viviamo in una società iper-individualista, è comprensibile supporre che il processo disgregativo in atto nelle famiglie occidentali contribuirà notevolmente ad un ulteriore aggravamento sui rapporti sociali e solidali tra i cittadini.
Questo primo intervento sulla questione dei padri separati e della distruzione della famiglia ha l’intenzione di introdurre il lettore in un percorso di analisi che svilupperemo in seguito. I padri separati stanno subendo una situazione non sostenibile sia in relazione a questioni economiche sia di tipo sociale e i bambini sono i soggetti che assolutamente vanno tutelati ma al contrario spesso sono usati come arma contro i padri.

giovedì 19 novembre 2015

DIRITTO DEL PADRE DI VEDERE I FIGLI.



Separazione e divorzio: il papà ha sempre diritto di vedere i figli
Corte di Giustizia UE: risarcito il padre che, vittima degli ostacoli dell’ex coniuge e dei ritardi dei servizi sociali, non riesce a vedere i figli.
 I papà divorziati non sono garantiti, dallo Stato italiano, nel loro sacrosanto diritto di vedere i propri figli anche dopo la separazione con l’ex moglie: vittime degli ostacoli frapposti dalle madri, e delle inefficienze dei servizi sociali, si trovano in una posizione di assenza di tutele. A gridarlo a gran voce è niente poco di meno che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) che, nella sentenza di ieri [1], ha condannato l’Italia per essere venuta meno all’obbligo di tutelare anche i padri e, anzi, di metterli in una condizione di netta inferiorità. La sentenza ha anche il merito di denunciare apertamente la “fin troppo ampia autonomia” dei servizi sociali, specialmente in una situazione di palese conflitto d’interessi.
 I giudici europei rimarcano il fatto che il padre non può essere limitato nel suo rapporto con il figlio, non fosse altro per il fatto che ne verrebbe meno l’interesse di quest’ultimo e la sua sana crescita, che deve essere l’obiettivo primario di un giudice.
Lo Stato italiano – denuncia la CEDU – pur in assenza di collaborazione dei genitori, ha l’onere di attuare rapidamente tutte le misure per favorire il rapporto in parola, creando le condizioni necessarie per l’esercizio del diritto di visita, pesantemente limitato nel caso di specie malgrado il palese conflitto d’interessi e l’inesistenza delle accuse formulate dalla collega della madre e dai servizi sociali.
 La vicenda
Dopo la separazione dalla moglie, un uomo, notando evidenti cicatrici sul volto del figlio, accusò la madre di maltrattamenti nei suoi confronti. Ciò gli si ritorse contro perché la donna, che collaborava presso i servizi sociali, riuscì a far accusare il marito di paranoie su un possibile complotto della donna e dei servizi ai suoi danni; così gli fu sostanzialmente revocato il diritto di visita del minore.
 La sentenza
La CEDU non può sostituirsi nella valutazione del merito ai giudici nazionali, ciò nonostante non ha potuto fare a meno di notare la loro negligenza nel vagliare il caso stante il denunciato conflitto d’interessi dei servizi sociali e le false accuse della madre, smentite da due perizie di esperti: gli abusi subiti dal bimbo erano reali e non un’ossessiva paranoia per screditare la madre.

lunedì 16 novembre 2015

TRADIMENTO E INFEDELTA'



Tradimento e infedeltà: quando scatta il risarcimento al coniuge
Risarcimento del danno quando la relazione extraconiugale è portata avanti da anni, ledendo così la dignità del coniuge tradito: 10.000 euro da pagare in ristoro per la sofferenza procurata.
 L’infedeltà nei confronti del proprio marito o della moglie può portare non solo a una causa di separazione con addebito, ma anche alla condanna a un risarcimento dei danni cospicuo. Infatti, secondo i giudici, la violazione dell’obbligo di fedeltà può costituire, se ricorrono elementi gravi (v. dopo), fonte di danno patrimoniale e non patrimoniale per l’altro coniuge.
Per stabilire la possibilità di un risarcimento del danno è necessario valutare la condotta posta in essere dal coniuge fedifrago: se essa ha determinato una offesa alla dignità e all’onore dell’altro, allora la condanna è assicurata. Non rileva cioè il fatto della relazione extraconiugale di per sé considerata; per configurare gli estremi del danno ingiusto rilevano invece gli aspetti esteriori dell’adulterio, quando particolarmente offensivi e oltraggiosi, come ad esempio il discredito determinato dal fatto che tutti gli amici o i colleghi del coniuge erano a conoscenza del fatto che quest’ultimo fosse oggetto, da più tempo, di tradimento. La relazione ampiamente resa pubblica e quindi particolarmente frustrante per la vittima è certamente il caso paradigmatico che dà origine al risarcimento del danno.
 Sulla questione è intervenuta, questa mattina, la Cassazione [1], che ha condannato a 10mila euro di risarcimento un uomo che aveva portato avanti negli anni una relazione con un’altra donna (addirittura spingendosi alla convivenza con questa), provocando nella ex moglie uno stato di depressione e ledendo la sua dignità.
La Suprema Corte ha bastonato la condotta del coniuge, colpevole di aver fatto ritenere all’ex, con comportamento equivoco e mistificatorio, ormai superata la crisi coniugale, mentre invece questi continuava a tradirla.
Il coniuge tradito, per ottenere il risarcimento, dovrà dimostrare di aver subìto una depressione e una grave lesione della dignità.
 [1] Cass. ord. n. 19193/15 del 28.09.15.

martedì 10 novembre 2015

BAMBINI VITTIME DI VIOLENZE PSICOLOGICHE



I BAMBINI CHE ASSISTONO ALLA VIOLENZA SONO VITTIME DI VIOLENZA
Rendere i propri figli spettatori della violenza ripetutamente perpetrata nei confronti di un genitore da parte di altro familiare può integrare (in danno dei primi, oltre che del secondo, il reato di
maltrattamenti in famiglia, fattispecie prevista e punita dall’art. 572 del codice penale.
La Suprema Corte chiarisce, infatti, che <<Possono integrare il delitto di cui all’art. 572 cod. pen. non solo fatti commissivi, sistematicamente lesivi della personalità della persona offesa, ma anche condotte omissive connotate da una deliberata indifferenza e trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali della persona debole da tutelare. Può essere perciò ricompresa nel novero dell’offensività, tipica della norma, anche la posizione passiva dei figli minori laddove questi siano “sistematici spettatori obbligati” delle manifestazioni di violenza, anche psicologica (nella specie del padre nei confronti della madre)>>
Cassazione penale, Sez. VI, 29 gennaio 2015 (ud. 10 dicembre 2014), n. 4332, Presidente Milo, Relatore Lanza

lunedì 9 novembre 2015

LAVORO CON SUOCERO E COGNATO - MOBBING



Mobbing sul lavoro… da parte di suocero e cognato? Scatta il reato di maltrattamenti in famiglia
La Cassazione ritiene integrato il delitto previsto dall’art. 572 c.p. nei rapporti di tipo lavorativo anche se non si può parlare di impresa familiare
di Marina Crisafi – Avere il suocero come datore di lavoro si sa può far nascere problemi, ma se a lui si affianca anche il cognato ed entrambi pongono in essere condotte mobbizzanti nei confronti del dipendente/parente scatta il reato di maltrattamenti in famiglia. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 44589/2015, depositata il 4 novembre scorso (qui sotto allegata), rigettando i ricorsi di suocero e cognato avverso la decisione della Corte d’Appello di Torino che li aveva condannati a otto mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 572 c.p.
A detta del giudice di merito, per la lunga serie di atteggiamenti e condotte vessatorie perpetrate in danno del dipendente della loro società (rispettivamente, genero e cognato, degli imputati), i due andavano condannati per maltrattamenti in famiglia, in quanto commessi all’interno di azienda di natura parafamiliare.
Per piazza Cavour, la corte ha ragione.
Il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. hanno affermato i giudici della sesta sezione, infatti, “può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo all'indefettibile condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona alla autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia”.
E ben possono le pratiche di mobbing perpetrate ai danni del lavoratore integrare il delitto de qua esattamente alle stesse condizioni, ossia quando il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma la natura parafamiliare sopradescritta. Perché anche se il reato di cui all’art. 572 c.p., ha precisato la S.C., non costituisce la tutela penale del c.d. “mobbing lavorativo”, il quale ove dante luogo a condotte autonomamente punibili (ingiurie, diffamazione, minacce, ecc.) trova nelle corrispondenti figure di reato il relativo presidio, tuttavia, la peculiarità del caso di specie abilita all’uso del termine “panfamiliare”, idoneo a definire i rapporti tra le parti.
L’azienda in cui la persona offesa aveva trovato ingresso era infatti di piccole dimensioni, a conduzione familiare e gestita dagli imputati. E le condizioni di lavoro dell’uomo, una volta diventato “affine” erano peggiorate (essendo discriminato rispetto ai colleghi, subendo continui ed esagerati rimproveri, pubbliche denigrazioni, aggravamenti degli orari di lavoro), e, infine, degenerate del tutto, a seguito della separazione con la moglie (figlia di uno degli imputati), portando al licenziamento per giusta causa.
Nessun dubbio, dunque, per la Cassazione che la “parabola lavorativa” in esame sia connotata da una “inestricabile commistione tra aspetti natura lavorativa e familiare” conducendo, per questa via, a concludere che “pur non ricorrendo le condizioni formali di sussistenza dell'impresa familiare di cui all'art. 230-bis c.c., il rapporto di lavoro - imposto al dipendente - fosse di natura più che parafamiliare e come anticipato addirittura panfamiliare, come tale pienamente compatibile con la ritenuta applicabilità dell'art. 572 c.p.”.